Ferri è un fenomeno, ammirevole come e più di un pittore antico. Ha, di colpo,
superato i pittori figurativi più abili nella duplicazione della realtà. Il suo primo
pensiero è stupire. Con formidabile disciplina rimedita la grande tradizione della
pittura barocca, da Caravaggio a Ribera, da Bernardino Mei a Tiepolo. In realtà, Ferri
è un virtuoso che riporta nella realtà i sogni. Talvolta essi sono incubi. Ma l’armonia
delle forme domina i soggetti anche nelle loro torsioni più audaci, nelle mutilazioni,
nei traumi. L’occhio di Ferri registra e riproduce l’ordine delle cose in un mondo dove
tutto funziona, e c’è spazio anche per il male. Ed eccoci qui, davanti a quadri antichi
sorprendentemente moderni; apparentemente accademici ma trasgressivi. Una
sfida al resto del mondo. La figura umana per Ferri è inevitabile ma deve essere
anche trionfante, eroica, in un continuo riferimento a modelli e composizioni già
pensate e da lui portate a uno stupefacente rigore. Così egli determina un effetto
borgesiano: chiede e ottiene stupore, e dipinge, oggi, quadri antichi: così noi davanti
ai suoi quadri non sapremo dire in che epoca siamo. Un iperbarocco? E insieme un
neoclassico e un caravaggesco. Ferri continua l’inganno, non sarà mai abbastanza
contemporaneo e mai un pittore antico. Dipinge come un antico soggetti moderni
ma, di fronte al corpo umano ignudo, non si può fermare, non può deformare (se
non è deforme), ed è costretto a essere un altro. Nuovo come pittore antico; antico
come pittore moderno.
Vittorio Sgarbi
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